Dalla parte dei professori – Mentalità nova?


Premetto subito che ora attirerò l’odio di generazioni di studenti (attenzione, anche io lo sono!), ma andiamo per ordine. Reduce dal recente numero di Sogni Americani dove ho raccontato qualcosa della vita universitaria americana, cercavo, fra me e me, di capire più approfonditamente quali fossero davvero le chiavi del successo di questo sistema. E, fra le tante, mi è balzata agli occhi una motivazione: qui lo studente è all’università per studiare, per conoscere, per imparare, per fare.

Bene, può sembrare una banalità, ma subito mi è venuto automatico collegare questo fatto alla mia recente esperienza di tutor, o assistente del prof, a dir si voglia. Mettendo un attimo da parte, per quel poco che ho fatto, l’insegnare (bellissima esperienza!), purtroppo devo dire che nel complesso questo ruolo mi ha lasciato una certa amarezza. Delusione nata dal vedere, troppo spesso, l’indifferenza nei confronti di quanto è insegnato, come a voler gettare via la possibilità di imparare, riducendo tutto alla necessità di passare l’esame, spesso senza una vera intenzione di voler diventare padroni della conoscenza. Perché questo? Perché il rinunciare a questa unica possibilità (che forse non si ripresenterà nella vita) dell’allargare i propri orizzonti?

Una risposta scontata, sul perché uno studente americano si impegni a tal punto, potrebbe essere legata alla fatica fatta per entrare, ai soldi spesi, alle prospettive per il futuro, all’ambiente stimolante, ai professori mediamente veramente bravi e disponibili nello spiegare, alle sessioni di esame una sola volta all’anno (che quindi non si può non passare), ma…  saremmo davvero sinceri con noi stessi adducendo a motivazioni quali “le cose da noi non vanno così”? Sicuramente qui si respira questa “aria universitaria sana” che origina un circolo vizioso che porta ad un doppio vantaggio, il costruire persone preparate e la soddisfazione dei docenti nel vedere il frutto del proprio lavoro.

Un sogno da noi? Forse, ma data la situazione economica e i problemi generali che ci troviamo ad affrontare sembra difficile poter sperare in un miracolo “dall’alto”. Dovremo quindi, speriamo non per sempre, continuare a studiare nelle nostre aule fredde e malandate, sopportare disagi e mancanza di possibilità, magari professori non all’altezza, o troppo impegnati da altro (spesso loro malgrado), o, purtroppo, anche insensibili all’insegnamento e non consapevoli dell’importanza del loro ruolo. Ma forse, invece di aspettare che “le cose cambino”, partire a rimboccarci le maniche per rilanciare “dal basso” una fra le cose più preziose (e gratuite) che abbiamo, ovvero il sapere. Mentalità nuova: investire su noi stessi, a cominciare dalla semplicità dello studio, per creare futuro, una società consapevole, e innestare quel processo che, negli anni, potrà forse renderci orgogliosi della nostra scuola, e, più di ora, della nostra Nazione. Partire da studenti desiderosi di conoscere. Cercando, se non oggi domani, professori innamorati del trasmettere conoscenza.

1 comment

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  1. Francesca

    Sinceramente l’università italiana fa passare la voglia di studiare e riesce ad spegnere la passione per il proprio corso di studio. Molti docenti credono di essere la reincarnazione di Gesù sulla terra, sono scontrosi e a volte nel loro delirio di onnipotenza sono ridicoli. Le segreterie fanno tristezza, gli insegnamenti vengono svolti come a 30 anni fa anche se la società e quindi anche gli studenti sono cambiati, poi si fa un esame anche per andare in bagno. Ci credo che in America gli studenti abbiano voglia di studiare, loro hanno delle università vere e proprie con professori veri e non queste mummie che abbiamo noi. A me la voglia è passata, studio per superare gli esami e poi via per sempre.

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