Diario di Viaggio: Istanbul, Giorno 4


Giorno4 Miseria, Nobiltà e Modernità.

Un enorme cartello pubblicitario ritrae una donna bruna e formosa che pubblicizza una bevanda piena di zucchPanorama di Istanbuleri e sostanze chimiche sulla  Tarlabaşı Caddesi. Siamo ancora nella parte europea di Istanbul, un vialone percorso da automobili abbastanza frettolose, molto poco ordinate: i turchi si sa, non sono famosi per la guida sicura. Ad attraversare la strada però si scopre qualcosa di diverso, una sorta di macchia scura sulla patina scintillante della cittàEdifici cadenti, sventrati e lasciati lì a marcire: un intero lato della strada sembra appartenere ad una ghost town di immondizia e macerie. Quando la gente passa, si tappa il naso: un gatto invece, (eh si,ancora un altro) sonnecchia tranquillo sotto una finestra senza vetri. Apre appena un occhio per dire: questo è il mio regno, stanne lontano.

Siamo alle soglie di Tarlabaşı, il quartiere dei dimenticati, dei poveri. Vicoli stretti e rifiuti in ogni dove.  Soprattutto, è il quartiere dei diversi: inizialmente abitato da greci e armeni, ha poi visto arrivare masse di curdi in fuga dalle guerre civili, e più di recente, rom e africani. I panni appesi tra i palazzi paiono buffe bandiere colorate contro il cielo azzurro. E poi ci sono i bambini di strada, che giocano scalzi nella sporcizia. Le fogne sono aperte.

Le abitazioni qui dovevano essere molto belle una volta: assomigliano a certe case di bambola, dai colori pastello e le minute verande.  Il viso di un putto spunta da sopra una porta. Ci vorrebbe un restauro, anche nell’umanità di chi governa: invece di impegnarsi per migliorare il quartiere e le sue condizioni di vita, si pensa a sfrattare e distruggere. Via il vecchio: ma qui è sinonimo di antico, storico, tradizionale. Demolire in questo caso significa snaturare la propria identità  per assomigliare ad una pubblicità.  Perciò via  anche soprattutto il povero, il misero, il bisognoso: che importa se lo cacciamo di casa, non ha voce in capitolo. Hai imparato  troppo bene dall’Europa temo, mia cara Turchia.

 

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