Diario di Viaggio: Istanbul, Giorno 1


Giorno 1 : una porta tra due mondi

Chi crede nel destino non avrebbe dubbi nel sostenere che il mio viaggio in Turchia di quest’anno fosse scritto nelle stelle o nei fondi di caffè: i segni erano ovunque intorno a me, eppure io mi sono decisa molto tardi. Così eccomi in viaggio in un caldo pomeriggio di agosto, direzione Istanbul,  o Costantinopoli,  o prima ancora Bisanzio: la città che mescola oriente ed occidente, l’unica al mondo ad estendersi tra Europa ed Asia.

Il mio albergo si trova vicinissimo a piazza Taksim,dove il 1 Maggio 1977 una manifestazioni di lavoratori è stata repressa nel sangue: uno di quei capitoli della storia che i nostri genitori hanno fatto finta di dimenticare e  che noi spesso ignoriamo. Taksim vuole però dire anche distretto di  Beyoğlu e la Istiklal Caddesi con i suoi negozi alla moda e i musicisti di strada. Troppi, davvero troppi i turisti: chi ama viaggiare sa quanto possa essere fastidioso essere circondato di personcine annoiate in cerca di ninnoli per i parenti e della foto davanti al monumento più famoso. Ma basta poco per sfuggire al caos: una fermata in più di metro, una svolta in un vicolo nascosto, cinque minuti spesi a parlare con uno sconosciuto.

Per scoprire un luogo occorre perdervisi. Sono partita con questo scopo: uscire dalla retta via, imboccare una strada a caso in mezzo alle tante e capitare dove il mio amico destino deciderà di condurmi. Per prima cosa però ho voluto dare un’occhiata alla città nel suo abito più elegante, quando la luce del tramonto rifulge sullo stretto del Bosforo. E così all’ora viola di Eliot, quella che riporta a casa il marinaio dal mare, sono salita sulla Galata kulesi, la torre di Galata, che domina la città. All’interno ci sono un ristorante e un night club, ma li ignoro, cercando di concentrarmi sulla pietra antica.

La torre assomiglia un po’ ad un minareto obeso. L’hanno costruita i genovesi nel 1300 e  dato questo legame con la mia terra natia, lontana nello spazio e sempre più spesso nel cuore, non avrei potuto iniziare da altro luogo la mia scoperta di Istanbul.  Il cielo è uguale in ogni luogo, forse, ma non si può per questo smettere di ammirarlo . Ascensore, poi scale e sono una stretta balconata circolare: la distanza tra me e l’abisso è una balaustra di ferro. Le gambe mi tremano: odio ammetterlo, ma le vertigini sono una delle mie peggiori debolezze. Eppure mi ostino a guardare giù: il volo, o forse il precipizio, è una tentazione.  La balconata è affollata: una voce meccanica avverte in inglese di procedere in senso orario. Ovviamente i turisti italiani hanno poca dimestichezza con la lingua della regina e con le regole. Ma vale la pena di rimanere un poco compressi fra la gente, solo per avere sotto gli occhi tutta la città.

Ho visto i traghetti  passare furiosi sotto i ponti, e la bandiera turca sventola altrettanto decisa nel vento della sera. Ho visto le moschee, come maestosi gioielli incastonati in un abbarbicarsi di costruzioni, in lontananza. E appena sotto la torre tetti di un rosso vivo, case nuove e case diroccate. Da una finestra , una signora intenta a fare il bucato. Su un tetto, alcuni ragazzi che danno una festa. E ancora la luce del sole al tramonto che si riflette nelle acque scure del Bosforo. I gabbiani mi danno un benvenuto familiare, quasi che sapessero che anche le mie radici affondano nel mare.

Da domani si camminerà per strada, si percorreranno salite e ponti  e si navigherà. Ma stasera no, stasera si guarda e basta. Istanbul, questa porta dorata su due mondi, è stata costruita perché in primo luogo la si ammirasse in silenzio.

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