Imparare a piangere da Lam Shin


Olimpiadi di Londra 2012. Torneo di spada femminile, in corso all’Excel Arena. Tutto scorre tranquillamente, quando all’improvviso il fuoriprogramma che non ti aspetti. La coreana Lam Shin, uscita sconfitta nella semifinale contro la tedesca Britta Heidermann, si rifiuta di scendere dalla pedana e scoppia in un pianto a dirotto, disperata. Motivo della protesta, protrattasi per quasi mezz’ora e che ha visto coinvolti anche gli staff tecnici, un punto contestato (si era sul 5 pari) nella gara appena conclusasi ed assegnato alla tedesca. Senza l’assegnazione del punto in favore della Heidemann la coreana avrebbe vinto e guadagnato l’accesso alla finale. Ferma in pedana, l’atleta coreana non smette di piangere e disperarsi sotto gli occhi stupiti di migliaia di persone di tutto il mondo, finchè non viene condotta via ancora in lacrime dagli addetti alla sicurezza.

A costo di scivolare per la pericolosa china della retorica dico che questo pianto mi è piaciuto, più dell’aria strafottente di Balotelli dopo un gol, più delle frasi preconfezionate stampate su magliette pronte per essere esibite al momento della festa, della vittoria. C’è più passione, più trasporto nel pianto di questa piccola atleta coreana che negli entusiasmi, spesso tracotanti, di super atleti abituati ormai a vincere tutto e che dimenticano (beati loro, direbbero alcuni) quanto sia difficile e duro, per la maggior parte degli altri, anche solo arrrivare a sfiorare un podio olimpico e quanto la sconfitta, specie se arrivata in extremis e in maniera beffarda, possa fare male.

 Se De Coubertin fosse vivo ti ringrazierebbe, Lam Shin, ti raggiungerebbe per darti una pacca sulla spalla e, lontano dal clamore delle folle e dall’occhio dei media, ti guarderebbe occhi negli occhi e ti direbbe grazie. Grazie per averci ricordato – se ancora ce ne fosse bisogno, ma penso di sì – che gli atleti sono prima di tutto uomini e che lo sport non è solo cinque minuti di diretta televisiva ma un mondo intero prima e un’altro dopo, sacrificio continuo ed estenuante che a volte può non pagare nell’immediato, ma che non è mai inutile. Grazie per aver (ri)portato il pianto e la delusione visibile in questa Olimpiade, dove anche gli sconfitti mantengono lo stesso sguardo tronfio dei vincitori, tanto che a volte è difficile distinguerli se non si conosce il risultato della gara. Grazie, infine, per aver dato voce agli umili e agli sconfitti e per aver rappresentato, con quel pianto infinito e fluviale, ogni goccia di sudore spesa per raggiungere quel podio, che non è mai arrivato.

Grazie, Lam Shin.

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4 Comments

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  1. Ale

    Ma soprattutto l’insistenza per mandarla fuori mostra come questa società “non abbia tempo” per le emozioni umane, ci modelli a robottini tutti uguali..e ci si accorge che “1984” non è poi fantascienza..

    • Fabio Pirola

      Quando vedo le giovanissime atlete cinesi, sedicenni o poco più, che gestiscono qualsiasi esito agonistico con la stessa espressione artefatta sul viso, sento davvero un brivido. Sono loro l’atleta ideale, preciso, efficace, che non indulge in emozioni o in altre romanticherie e perciò non fa perdere tempo?

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