Emendamento sulla chiacchiera rancorosa


Lo dico prima di ogni altra cosa, è bello e amabile chiacchierare. Ma aggiungo: purché lo si faccia con amici e purché si discorra di argomenti amabili anch’essi, o perlomeno interessanti per la compagnia.

Ma, ahimè, se la chiacchiera diventa ben altro esercizio che questa modesta e moderata attività, si fa intollerabile. Ad essa bisogna sottrarsi necessariamente, poiché essa non è né virtuosa né piacevole, ma piuttosto ridicola, quando non addirittura spregevole.

Tutto nacque per colpa degli illuministi e della loro bravata che fu di ritenere che le opinioni fossero tutte ugualmente lecite e da ascoltare nel libero dibattimento. Da allora non si è più smesso di dibattere su ogni argomento, dal più futile al più eccelso, sempre con lo stesso registro e con una certa facilità: ma non è nemmeno qui il punto, poiché nel dibattere al limite si esercita la propria personale dialettica, ci si scambia impressioni e in certi casi ne può nascere qualche buon pensiero. Ma questo esercizio, non bastando più, o rivelandosi insufficiente e complicato, è degenerato nel mercato delle opinioni oggi esistente. Se tutti devono parlare di qualcosa e non tutti sanno bene cosa dire, per fortuna vi è qualcuno là fuori che si preoccupa di sostenere qualche affascinante stupidata in un breve articolo (d’opinione, cosiddetto), così che a noi non manchi l’argomento vincente nelle tante discussioni possibili del nostro mondo. La cosa in effetti spaventosa è che su tutti i temi che sono detti d’attualità si potrebbe tracciare una versione ufficiale, non di come sono andate le cose, bensì su come esse vadano considerate e pensate. Questo non è forse vero? E non è assai inquietante?

Anche in questo caso, come quasi sempre, vi sono (cattivi) maestri e un certo manierismo di fondo (sui giornali, su internet, in televisione). Ma se questi insegnano e rendono popolare tale modo di fare dell’ingiuria, del disprezzo, dello ‘sputare addosso a’, la pratica non si ferma a loro ma diventa diffusa sul territorio e nelle diverse età della vita, popolare quasi quanto la capacità di esprimere la formazione perfetta per l’Italia ai mondiali. Internet sotto questo aspetto rivela in modo osceno una parte del mercato sommerso delle opinioni poiché esse vengono conservate,  esponendone l’autore, quando noto (spesso su internet è l’anonimato che rende spavaldi) all’idiozia di ciò che ha lasciato scritto, una sua estensione permanente che lo coglie in fallo nel suo maldestro tentativo di apparire indignato. Ma la cosa non si ferma qui, infatti questo diventa argomento di conversazione nelle svariate compagnie, di amici, di compagni di studi, di lavoro e così via. Perfino, l’ho visto adottato come metodo per apparire ‘ganzi’ agli occhi di una ragazza. Sul serio.

Mette molta tristezza pensare che quando si era fanciulli più ingenui nessuno sembrava provare questa impellenza di lanciarsi in considerazioni rancorose di seconda mano su una vicenda o su un’altra svoltasi lontano da qui. Mi pare ci si soffermasse molto di più su questioni importanti, dando la giusta attenzione alle altre. Non appena entrati nell’età adulta, la nostra cittadinanza attiva non ci ha imposto di interessarci in prima persona ad un qualche aspetto politico dello stato in cui abitiamo (infatti la cittadinanza ha primariamente a che fare con l’ambito politico), magari quello che ci interessa di più in prima persona; piuttosto ci ha affidato l’inoppugnabile diritto ad avercela con chiunque, ovvero con “i politici”, con quelli che hanno i soldi, con la Chiesa (etc. etc.).

Ma le “cose” fanno schifo? Ebbene, non credo. Perlomeno, non credo che questa affermazione così vaga e contraddittoria abbia un qualche valore, né sia una frase degna di una persona di buon carattere. Esistono senz’altro cose brutte, cose spregevoli e così via, ma non è in questo modo che le si affronta.

Oggi chi dice di essere indignato parla impropriamente a sé stesso prima ancora che agli altri: egli non è più indignato, poiché l’indignazione presuppone una fiducia mal riposta, una delusione rispetto ad una aspettativa. Tutte questi modi si danno soltanto quando vi è in precedenza un interesse, un ‘avere cura’ di tale cosa che infine delude. Oggi si dice indignato chiunque, anche chi non ha ancora avuto direttamente nulla o quasi a che fare con lo stato e con la politica, cioè dai miei coetanei sino ai più giovani, e per cui non vi è mai stato il momento in cui si ha avuto fiducia che le cose andassero in un qualche modo che ci convincesse. Questa indignazione accettabile e sincera perciò non si dà; piuttosto si dà l’indignazione per trasmissione diretta (nella lettura di articoli di denuncia, non sempre chiaro di cosa), l’indignazione per mestiere (che frutta bene è che è lontana parente della demagogia, anche se più raffinata), e la più catastrofica e diffusa, l’indignazione come legame sociale (cioè, trovarsi d’accordo e mostrarsi scientemente ai conoscenti come disprezzatori dello stato di cose attuale, come fosse una sorta di abitudine da coltivare).

L’indignazione è anonima, l’indignazione è virtù della folla. Essa è l’oracolo a cui è imperativo prestare orecchio, e ad essa tutto è dovuto. Ma non ricade in questo modo sui singoli che la compongono una colpa grave, quella della presunzione, per giunta meno gravosa per non essere manifesta, occultata nell’anonimato che da sempre contraddistingue le grandi folle? Io non tollero, disprezzo sinceramente, chi si propone in questo modo. Non la considero una persona che si sta adoperando per risolvere un male, ma la ritengo corresponsabile di tale male, fautore e complice. Poiché chi si preoccupa di risolvere spesso è occupato in altro modo, che non nell’attività del rancore, ed è ben più taciturno. Chi prova rancore e ha tempo per esprimerlo alla metaforica pubblica piazza: costui sta perdendo tempo, non sta agendo in nessun modo; egli ritiene che per acquietarlo basti esprimerlo (e si ricade dunque nella indignazione come legame sociale). Se questa indignazione fosse più pressante e soprattutto più sincera, costui agirebbe in modo diverso, certamente.

Ora che ho accennato il vizio quotidiano che affligge i più, vorrei proporre un emendamento informale e provvisorio ai costumi di questa disgraziata penisola per quanto riguarda la libertà di parola: si parla e si argomenta di qualcosa, si sostengono tesi forti su di esso, solo una volta che tale oggetto di discussione è stato conosciuto in qualche modo direttamente, si ha avuto esperienza di esso, così da avere qualcosa da dire a proposito. Anche in questo caso, non è conveniente sbraitare, o almeno non è consentito spacciare questo per un opinione, quando è in realtà solo rancore (e talvolta invidia). Se avete da sbraitare sentitevi liberi di farlo senza darvi pena di sembrare ragionevoli, poiché comunque sia non lo sembrerete in quel momento.

Al contrario è del tutto vietato riferirsi approssimativamente e con parole ingiuriose a diversi eventi avvenuti in passato in un unico termine dispregiativo, e dunque limitarsi a discorsi circostanziati, e senza un atteggiamento giudicante ma propositivo su quella tematica piuttosto che su un’altra. Ovvero: se c’è qualcosa  che ritenete che non debba essere così com’è, abbiate almeno una posizione su come quella cosa debba essere. Oltretutto all’atteggiamento del rancoroso bisogna opporsi ritenendo tale persona non degna di ricevere risposta. Infine, una norma aurea per chi ritiene di voler partecipare ad una discussione (e, sia chiaro, non vi è alcuna necessità di partecipare a discussioni, ci sono molte ottime persone che avrebbero poco da dire nelle molte discussioni che si fanno oggidì): ascoltare e cercare di avere chiara la posizione altrui prima di attaccarla in ciò per cui la riteniamo debole, infatti bisogna concedere almeno inizialmente ad un discorso diverso dal nostro la possibilità di mostrare la sua forza. Infine c’è da mettere in conto in situazioni simili che talvolta la posizione di chi discute può essere tanto incredibilmente opposta alla vostra da suscitarvi repulsione e odio. Quella repulsione e quell’odio non vi danno il diritto, o non vi investono dell’autorità assoluta (ed autoproclamatasi) di dichiarare quella persona non sana di mente o spregevole, anche se naturalmente siete del tutto liberi di disprezzarla (solo, non state facendo in questo il bene delle magnifiche sorti e progressive). Tale persona ha posto quanto voi nel vasto mondo, e non è da escludere che essa abbia da convincervi su alcuni punti. Giocando alle fazioni non vi è discussione ma solo scontro verbale, che è anch’esso lecito, ma è un’altra cosa.

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