Di uno storico prossimo alla morte


Auspico qui per voi tempi migliori, che abbiano qualcuno che ne parli con un poco di senno, che rimetta i giusti onori ai principi e agli uomini nobili e che accusi con chiare parole i menzogneri e i dissoluti. Ma oggi, oggi si dà ancora la possibilità di un elogio? L’elogio prevede prima di tutto di infrangere l’etica dello studioso, e richiede quel vizio ai più insopportabile, che si direbbe essere il moralismo: in ogni elogio, è chiaro, vi è una condanna di pari forze. Ho tentato varie volte, senza troppa convinzione né voglia, di dire qualcosa dei governanti, di avvilire i governati con parole sferzanti. Ma sempre la mia mano si è bloccata alla quarta riga quando mi trovavo a motivare la mia rabbia con poche parole adeguate. Lì la scrittura si ferma e si domanda vanamente sul fine. Dove finiranno questi pochi segni? Hanno qualche importanza? Significano qualcosa o rimarranno vanamente segni inascoltati, parte di qualcosa che accumula e non riconosce più? Non sembra essere più il tempo, questo, di raccogliere voci e testimonianze e di raccontare delle sorti degli uomini tratte dagli dèi, come fece il capostipite di Alicarnasso; oggidì tutti conoscono un po’ tutto, e male, ma certo hanno sentito il nome, e comunque da qualche parte troveranno un riassunto che fa proprio al caso loro, e che gli sarà utile per il tempo di una conversazione. L’indifferenza a tutti questi nomi, l’indifferenza a come essi suonano simili o differenti gli uni con gli altri, la facilità con cui si sbagliano le parole e si confondono le notizie rimane un mistero impressionante che ancora manca di una figura accademica consona a trattarne. Ma questa, è certo, non è lo storico.

Gli storici infine o si svendono e finiscono per fare qualcosa che gli impone di tradire il proprio interesse privilegiato oppure cedono e rinunciano alla scrittura, ritirandosi lontano dalla mondanità roboante. Essi sanno, segretamente ammettono, che se vi è un ostacolo insormontabile alla verità, quello è il troppo parlare. Il troppo silenzio invece non si dà, poiché è il silenzio che sempre accoglie una voce. E che bella voce, possente e lignea! Ebbene, il brusio è l’unico discorso che è pronunciato di questi tempi nelle piazze. Nessuno è lì per ascoltare voci che dicano verità, ed amano interessarsi smaniosamente di numeri e segni che compaiono su schermi di varia misura. Ma non vi è amicizia fra gli uomini che calcano lo stesso suolo. E per questi luoghi desolati qualcuno osa ancora profanare la parola agorà!

Ma, se non bastasse tutto questo, ecco che giunge la celebrazione da anniversario a sbeffeggiare la cronologia. E con essa, prole oscura: neanche la storia potrà passare indenne a questa ondata. Se in altri tempi si usava scrivere e conservare per salvare dall’oblio, trattenere la conoscenza delle opere degli uomini e le loro gesta, oggi questo ricordo strappato da uomini degni diviene arma di rancorosi e spregevoli, giocattolo o souvenir per turisti e gioventù cosmopolita. Passa nell’ambito ozioso dell’antiquario, cioè di quelle cose carine e vecchie che fanno arredamento e che servono a tamponare qua e là cemento e fumo nelle città. Cose che sono forse accadute, ma che non lo sono davvero. Accaddero ma non a persone come noi. La storia è storia di barbarie, dicono – e davvero nessuno oggi vuole avere la reputazione di barbaro, tutti parlano un perfetto inglese (e se non lo parlano, colpa della cattiva educazione, ma lo si vorrebbe davvero), e si annoiano con l’arretratezza degli antenati.

Ridotta in questo modo deplorevole, anche la storia meriterebbe di diventare storica, di ricevere un degno funerale o comunque di essere consenzientemente taciuta e non ulteriormente profanata. Se c’è ancora qualcuno con un poco di carattere e con un poco di gravità d’animo, tra i colleghi, saprà che non è tempo per chi si occupa dei tempi andati. L’asperità è per chi dà ascolto ai vecchi manoscritti pane quotidiano e duro abbastanza da spaccare qualche dente cedevole, e l’ovvietà scompare quando si calcano tanti anni e secoli. Ma a chi importa più? Cosa c’è ancora da imparare in questi racconti? Forse nulla. Forse essi ci sono estranei abbastanza da non parlare più agli uomini, ma solo agli accademici, che sono stipendiati per questo.

Così, fatto il misfatto, non posso più nascondere che io per primo me ne sono da tempo allontanato, dalle nostre immense città, poiché esse non volevano insegnarmi nulla, e compio infine il movimento uguale e contrario a quello che fu dei miei genitori, finisco in aperta campagna, esiliato, fra i pochi che vi abitano. Non pratico più da diversi anni la disciplina un tempo amata, e pochi dei miei libri hanno avuto il privilegio di seguirmi. Un’abitazione confortevole è il dono che rimpiango di abusare nel mio lento disfacimento, delle membra e dell’intelletto, che tanto ricorda e tanto medita, senza però parlare più molto. La mia figlia giovane talvolta viene a farmi visita, porta un pasto appetitoso e una gioia giovanile cui mi appoggio, Antigone per un vecchio Edipo oramai giunto a Colono.

Ho un ultimo progetto da portare a termine prima che giunga il mio tempo, ed è un progetto bello ed inutile, per cui già ho buttato giù qualche bozzetto e chiesto del materiale di buona qualità dagli artigiani della città. E’ un volume da scrivere di mio pugno, a penna, un volume di avvenimenti storici. Ma, come un bambino, stando alla larga dalle troppe miserie che porto con me e dalle associazioni culturali, voglio incominciare a segnare in un racconto accurato avvenimenti piccoli e brevi, che non riguardano che un piccolo lembo di terra fra le montagne, ignorato dai più. Ecco l’ultimo proposito di uno storico morente, ricominciare ad occuparsi di poche cose, dopo aver frainteso per molto tempo cose assai grandi e vaste che accadevano altrove. Forse qui vi è ancora qualcosa da imparare e silenzio per ascoltare quello che è importante strappare via all’oblio. Dono sincero a questi pochi amichevoli abitanti di frazione perché i loro nomi e vicende non finiscano nell’oblio della civiltà. Poiché vi è su questo una verità incontrovertibile, da pronunciare con sorriso ambiguo: nessuna alfabetizzazione e nessun progresso delle scienze hanno mai potuto contrastare questo fato degli uomini – i pochi sanno, le folle sempre si beano dell’ignoranza che è capitata loro in sorte, oggi, come in altri tempi. Tempi assai migliori di questi.

Foto in cima di Alessandra.

3 Comments

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  1. Anonimo

    Raccolgo le tue provocazioni. Da filologa quale forse solo istintivamente sono, colgo molto la rotondità del segno e la pregnanza del segno stesso, in pratica, la parola che usi. Ciò che resta in bocca è un po’ il gusto dell’angoscia, forse è un po’ come farsi suggestionare dalla stessa musica che hai piazzato in qualche articolo tra questi. E in quanto prova di scrittura, è formidabile ed espressiva, perciò bravo.
    Tornando a noi, usi spesso la parola “folla” in un senso che non riesco a cogliere, perché sembra dispregiativo. Confermi? E perché i pochi sanno? E chi? Tematica molto importante nei tuoi scritti, non riassumibile forse così facilmente. Spero un giorno di poter approfondire, anche a voce.

  2. Lorenzo

    Evviva i filologi, poiché sono i soli amici della verità! Comunque, seriamente parlando, cerco di essere polemico nelle frasi che scrivo qui (cioè in un contesto pubblico, fruibile potenzialmente da chiunque, che io conosca o meno) anche se l’angoscia non è un dono bello da ricevere… Intendo che, per quel che mi riguarda, non è importante trasmettere angoscia, però se ho un intento specifico è proprio di cercare di smuovere l’animo di chi legge, così magari da spingere chi legge a scrivere qualcosa, a presentarsi etc.

    Sì, è molto vero che la parola ‘folla’ per me è dispregiativa. E la folla è vero, è una parola ambigua, molto usata da molti. Sempre ci sono state, specie nelle città, le folle, festanti o infuriate. Non è nel mio intento (spero si veda) impiegarla per proclamare il valore dell’individuo perché non è questo che mi importa, né è questa la distinzione giusta ai miei occhi: piuttosto la folla, in virtù della propria massa di potenza si ritiene dispensata dai limiti che invece appaiono ai pochi uomini. La folla si giustifica da sé e si crede autonoma (darsi la legge da sé), ovvero di non dover fare i conti con nient’altro che sé stessa e di avere sufficiente potere da essere dispensata. Questa folla non è arcaica ma , diciamo così, specificamente moderna. Ci si identifica nella folla per avere il triste diritto ad essere spregiudicati essendo garantiti che tanto, comunque sia, è lecito. L’ignoranza che dicevo non è il non sapere qualcosa, ma credere di sapere, invece fraintendendo. Se vuoi, si potrebbe dire che mi sono fermato a Platone (cioè, sono un reazionario)…

    I pochi che sanno non lo so certo io, chi sono… Diciamo che ne conosco alcuni, se non mi inganno di molto su di loro. Forse, senza fingere modestia eccessiva, ritengo di sapere almeno un poco io stesso, sebbene essendo giovane ancora sono manchevole in molte cose (anche nella stessa scrittura! Ma anche di più in altre). Ritengo d’altronde che tutti quanti sappiamo tra le molte persone che conosciamo chi sa qualcosa e chi poco o niente. Non ha a che fare molto con l’accademia, anche se talvolta può rientrarvi. Sicuramente in passato vi sono stati uomini assai più sapienti, e questo si vede anche solo dai manufatti scritti che rimangono (tradotti). Il discorso è difficile da affrontare, in effetti, e se vogliamo approfondire a voce, non chiedo di meglio! Di certo il sapere si offre maggiormente a voce che nello scritto 🙂

    Quindi non so se ci conosciamo, ma la mia email è iorlinirazzal@hotmail.it e sarei contento di parlare di queste cose, magari sentendo se ti convince ciò che dico o come invece ritieni che stiano le cose, o anonima scrittrice! Intanto ti ringrazio per i generosi complimenti alla scrittura (piuttosto poco accurata, in realtà…)

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