Il giornalista


Non pretenderei mai di stare simpatico a qualcuno che ha letto un mio pezzo. Il mio mestiere è un duro mestiere, è un mestiere impegnato ed impegnativo e che richiede sacrifici ben più difficili di quelli che appaiono immediatamente al lettore. Come tale la professione richiede quella spietata malizia del cacciatore che escogita trappole e bocconi avvelenati per avere una preda fra le mani (lavoro sudato!), né si sofferma troppo sul volto della nuova preda più di quanto ha fatto con la precedente. Quella che si caccia è infatti carne, e soltanto carne. Ed in effetti lo è, suggerisce il fisiologo: carne ben assortita e di varia qualità, ma carne rimane.

Salvo che poi, subito, un altro dovere non meno pressante ci chiede di trattare quotidianamente con persone, e descriverle come tali, quando sarebbe così tanto più semplice parlare della carne che si caccia. Ma essa si dimostra complicata, assai simile a noi e così, attardandosi in questi pensieri, la pena è già dietro l’angolo. Forse non è giusto, ma di certo non è utile agire in questo modo, in una esasperata riflessione. Di qui la grande versatilità di carattere richiesta al giornalista che consiste nel suo prerequisito di uomo, essendo ben prioritario all’abilità di penna. Per lo scrivere esistono manuali e, ancora migliore, il manierismo. Ma il carattere è ben meno plasmabile e plastico di quello che la musica moderna ci ha illuso fosse. Non ogni suggestione è ugualmente una suggestione che segna, e molte suggestioni sono solo un piacevole solletico che svaniscono nell’animo nel tempo di pochi secondi dalla fine del pezzo – esse non hanno durevolezza e pertanto non comportano mai trasformazioni. Per questo motivo soprattutto il giornalista necessita sopra ogni cosa di una certa attitudine, quella del cacciatore, o per parlare animalescamente – dell’avvoltoio.

Egli giunge sul luogo del delitto quando il sangue è già stato sparso e vi è già un cadavere, o una creatura in agonia. Qui e non altrove è il suo trionfo, il vero momento in cui egli si può abbandonare ad essere esplicito nel giudizio e non invece, come egli spesso si trova ad essere, un fascio di nervi e di congetture dalla apparenza pacata. Prima quella stessa spietatezza di cui si parlava gli richiedeva un contegno british che se infranto sarebbe risultato disdicevole agli occhi di un qualsiasi esperto dell’ambito: egli tradirebbe la sua stessa indole (e di conseguenza, la deontologia professionale) comportandosi così scelleratamente, gridando in modo scomposto e additando il suo soggetto come un tribuno infervorato, improbabile pastore di folle: solo gli stolti osannano colui che si comporta in quel modo come esempio di giornalista, poiché egli agendo così scelleratamente ha frainteso terribilmente il potere di cui è investito e pertanto inevitabilmente avrà il suo contrappasso, presto o tardi.

Il giornalista non agisce con belle parole, enfasi e avventata partigianeria. La sua tecnica è ben più raffinata e specializzata, ai giorni nostri: il suo odio e il suo disprezzo, come la sua commozione e il suo ardore, egli deve annullarli e mortificarli; sa di doverlo fare anche quando proprio ci terrebbe a fare diversamente, in questo senso la sua deontologia è qualcosa di più di un arbitrio professionale. Così spesso diviene rancoroso quanto solo la plebaglia in tempi di carestia può essere, ma egli lucidamente sa che a questa repressione è costretto dal suo ruolo. E’ infatti solo questo che attribuisce oggigiorno il vero potere intangibile e inattaccabile alla cosiddetta ‘informazione’. Essa può parlare in modo futile, sostenere benemerite idiozie, ma il suo modo di porsi ne trasforma la natura agli occhi del lettore, le attribuisce un valore non negoziabile. L’imparzialità (menzogna utopica, ma che si esprime realmente nel comportamento).

Così, io non pretendo la vostra simpatia. Pochi fra noi, semmai i più irresponsabili fra tutti, hanno potuto assumere nel tempo quella ammiccante presenza televisiva così cara ai cittadini di questo nostro disgraziato secolo. Benedetti folli! Quanto scellerato e quanto ammirevole è insieme l’opera di costoro lo comprende appieno solo un altro giornalista. Il giornalista, proprio come il politico, ama segretamente piacere, ama farsi rappresentante dei pensieri del popolo, salvaguardarlo dal pensare direttamente ed esserne il garante. Ma come è doveroso in una società di massa dove il lavoro è organizzato e specializzato, pochi vedono la vetta e i più lavorano ad altezza mediocre. Questo è il mio caso e quello di molti altri miei colleghi. Soltanto pochi giungono a fine carriera essendo acclamati e celebrati (ascoltati sarebbe chiedere troppo) come fulgidi esempi del mestiere, luminari per le nuove generazioni che succederanno nella professione. Questi signori, solitamente anziani, si godono così il loro meritato pensionamento estendendo l’ambito del loro interesse e portando infine qualcosa di sinceramente proprio negli spazi che il giornale gli concede e che costoro conservano premurosi come ludus appropriato alla vecchiaia.

Ma ecco, oggi accanto a questi spunta una razza del tutto nuova. Avvoltoi né scapestrati né scontrosi, privi cioè di quei tratti di carattere che facevano il carattere forte un carattere anche pericoloso. Questi nuovi signori che, perfettamente a loro agio, aggrediscono con giuliva cattiveria le loro prede, sono il nostro futuro – il nostro destino professionale. Costoro infatti ostentano ben prima che il cadavere sia in putrefazione la loro soddisfatta, manifesta intenzione di sbranarlo. Non hanno pudore in questo, per loro non c’è più differenza tra la carne e la persona. Che siano una razza selezionata dalla selezione stringente che di questi tempi si chiede al nostro sovraffollato (di incapaci) ambito lavorativo, non vi sono dubbi. E che essi abbiano già vinto, siano astri splendenti e nuovi che oscurano gli oramai morti o morenti astri antichi, nessuno storico serio lo negherebbe. Ma se scorgo bene, questa vasta struttura, potere non costituzionale ed eppure pervasivo e capace di colpire qualunque altro dei tre, se non vuole collassare nella insulsa creatività di questi spiriti imprevedibili abbisogna di servitori più ligi al dovere e alla formalità (che furono da sempre questi funzionari e burocrati che da soli consolidano con ligia ubbidienza le perenni fragilità della storia moderna). Ecco che qui si apre il vero spazio per i mediocri che vogliono mediocremente lavorare fra noi. Essi avranno uno stile manieristico, e l’irriverenza gelida e tronfia di chi è dalla parte dei fatti e come sempre i giornalisti si atterranno a quello che la deontologia loro chiede, nell’aspetto tecnico dell’articolo come in tutto il resto. Ma poiché essi si faranno ad immagine e somiglianza dei loro pionieri, come fu sempre, anch’essi nel loro piccolo rivendicheranno con discorsi vani la libertà che non ebbero mai – già ne vedo qualcuno in televisione, la popolano e si fanno sempre più spavaldi. Vengono tempi migliori, sembrano gridare, e ci credono ciecamente. Non lo dicono apertamente ma io lo avverto chiaramente, in come essi deridono sprezzanti il potente che già da tempo è in agonia, in come tutti abbiano da rivendicare qualcosa e vedano egualmente, ognuno secondo la propria inclinazione, un futuro radioso, oltre le nebbie e il pantano. Essi sono cresciuti all’ombra del potere, hanno imparato a conviverci e a provarne rancore, ma mentre i pionieri già sicuri si lanciavano apertamente, con il loro sberleffo condito di parole, quelli attendevano nell’ombra, ancora insicuri sulle sorti  del potente, ma certi che sarebbe arrivato anche il loro momento, non appena egli fosse crollato irreparabilmente. Ed ecco che, come procedono le bestie, al grande banchetto prima si fanno largo i più forti per diritto ancestrale, e poi uno dopo l’altro, in processione, i più deboli. Che ora in ogni studio televisivo celebrano quello che non è stato, certi di poter essere impuniti.

Io sono oramai vecchio, sorpassato ed obsoleto, ma sento con il fiuto che l’esperienza mi ha concesso; il momento dei sontuosi avvoltoi si annuncia, lasciate solo che vi sia un alibi, e vedrete quale nuovo tremendo spettacolo sapranno inscenare. Rimarrete sorpresi, voi lettori. E saprete che questo periodo che si è concluso niente di più è stato, che scuola di formazione, uno scherzo un po’ asfittico, e che le penne d’ora in avanti potranno tagliare teste come fecero a loro tempo le lame.

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