The National e Beirut sotto il cielo di Ferrara
Terza data del Ferrara Sotto Le Stelle 2011
Il cielo è limpido, la piazza si riempie di persone provenienti da tutta Italia e non solo.
Aspettano di iniziare un viaggio, sono piene di speranze, vogliono che la musica inizi e non finisca più. Alcuni volti sono noti, altri sconosciuti. Si creano improvvise amicizie perché non importa se non ci si conosce: siamo tutti accomunati dalla passione per la musica e dall’attesa.
Martedì 5 luglio, sotto il cielo ancora azzurro del “Ferrara sotto le stelle”, si esibiranno i Beirut, band statunitense che mescola elementi balcanici, che ricordano le melodie di Goran Bregovic, con sonorità bohemien, e i National band indie-rock di Cincinnati.
Osservo chi mi circonda e vedo ragazzi che si sorridono, che fumano, che bevono una birra aspettando l’arrivo del primo gruppo.
L’attesa si rivela più breve del previsto.
Musica maestro: il concerto può avere inizio.
I Beirut fanno il loro ingresso, accolti dal caloroso applauso del pubblico. La voce di Zach Condon inizia a intonare “Nantes”, canzone contenuta nel loro secondo album intitolato “The Flying Club Cup”.
Mentre Condon passa dall’ukulele alla tromba con grande maestria, il pubblico è condotto in paesi sconosciuti, nelle terre dell’est-europeo.
Ha inizio un lungo viaggio, mentre la tromba di Kelly Pratt introduce “The Shrew”.
La musica è nostalgica, il pubblico assorto immortala il momento scattando fotografie. I Beirut suonano pezzi che saranno contenuti nel prossimo album “The Ryp Tide”: “Vagabond”, “Santa Fe” ed “East Harlem”, ma non dimenticano di lasciarci le loro canzoni più conosciute. Ecco che l’ukulele introduce “Postcards From Italy” e durante la performance è difficile trattenersi dal ballare.
Il pubblico grida, accompagna la voce malinconica del cantante, si commuove. Condon riprende in mano l’ukulele e inizia “Elephant Gun”.
«If I was young, I’d flee this town,
I’d bury my dreams underground,
As did I, we drink to die, we drink tonight».
Beviamo per morire, beviamo stasera.
Il viaggio con Condon e gli altri membri della band presto si concluderà, ma il nostro percorso continuerà insieme ai National.
I Beirut salutano e l’attesa ricomincia.
Passa mezzora, eccoli. Entrano i National e con “Runaway” ripartiamo.
Il pubblico li acclama e la voce di Matt Berninger ci fa sognare. Molte delle canzoni sono dell’album“Boxer”, come “Apartment Story” e la splendida “Fake Empire” durante la quale Zach Condon e Kelly Pratt ritornano sul palco per accompagnare la performance.
La voce e le musiche rendono di più sicuramente dal vivo rispetto al disco, e la band suona brani movimentati come “Squalor Victoria”, per poi passare a suoni più “lenti” come la bellissima “England” contenuta nell’album High Violet e “Green Gloves”, contenua in Boxer, per poi dare il meglio di sé in una scatenata performance di “Mr November”.
La voce di Berninger è affaticata, ma questo non importa.
Noi, il suo pubblico, cantiamo insieme a lui.
Noi, viaggiamo con lui.
Questo è il momento più importante di tutto il concerto.
Berninger si lancia sul pubblico che lo accoglie emozionato e incredulo.
La musica continua e noi siamo più eccitati che mai.
Il pathos viene raggiunto soprattutto verso la fine del concerto, quando le note di “Terrible Love” invadono la piazza.
«It’s a terrible love and I’m walking with spiders,
It’s a terrible love and I’m walking in,
It’s a terrible love and I’m walking with spiders,
It’s a terrible love and I’m walking in».
Dopo questa canzone, vorremmo chieder loro di non lasciarci.
Vorremmo chieder loro di portarci via con la musica, ma non è possibile, lo sappiamo.
Per ringraziarci i National, iniziano a suonare “Vanderlyle Crybaby Geeks”.
Questa volta è il pubblico a cantare.
È come se il mondo si fosse concentrato interamente in Piazza Castello.
É come se tutta la musica, tutta la forza, tutta la bellezza fosse lì, ora.
Non vogliamo andarcene.
Vogliamo continuare a cantare, a sognare, a vivere di musica e di queste parole.
Quando tutto termina siamo emozionati, parliamo delle nostre impressioni, ipotizziamo di seguirli e fuggire con Berninger.
Mentre gli altri sembrano sicuri di quello che vogliono e della direzione da prendere, io sono confusa.
Vorrei rimanere ferma lì, in Piazza Castello a cantare ancora, ma in meno di un’ora non c’è più nessuno.
Dopo poco me ne vado anch’io convincendomi che il concerto è finito. Nonostante questo una parte di me è ancora a Ferrara.
La verità è che io sono ancora ferma a Piazza Castello.
Mi emoziono mentre ascolto “Terrible Love”.
Sto cantando “Fake Empire” e mi fermerò solo quando avrò perso completamente la voce.
«Spegniamo la luce, diciamo buonanotte,
nessun pensiero per un po’,
non cerchiamo di comprendere tutto in una volta,
è difficile tenere una traccia di te che cadi attraverso il cielo,
siamo mezzi svegli nel nostro falso impero,
siamo mezzi svegli nel nostro falso impero».
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